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"NON E' VERO CHE NON Si
PUO' VOLARE"
Dopo la morte di Patrick De Gayardon, campione
francese del lancio no limits, si è aperta la polemica
sui rischi dello sport estremo e del rispetto alla vita.
Adrenalina,
tecnica e istinto sono gli elementi delle competizioni
titaniche rimbalzate in Italia dagli Stati
Uniti e dallAustralia circa dieci anni fa. Portano
nomi difficili: bungee-jumping (lancio da enormi altezze
imbragati a una corda), bareffoot watersky-jumping (sci
dacqua a piedi nudi senza tavolette), skysurf
(skateboard nellaria), sport climbing (arrampicata
sulle rocce a mani nude), street lunge (corsa degli
uomini proiettile) e hanno in comune lo stesso avversario
tanto potente quanto imprevedibile.
Per i
campioni del brivido non conta solo lespressione
liberatoria dellenergia fisica ma piuttosto la sua
gestione, il suo allenamento teso al superamento del
limite.
"Non è
vero che non si può volare" sosteneva latleta
scomparso "ma è vero che bisogna studiare, scoprire
nuovi materiali, usare il corpo in maniera diversa,
sperimentare nuovi tipi di ali. Insomma bisogna
applicarsi. E non buttarsi solo per il gusto
delleccitazione a tutti i costi e della
trasgressione stupida".
Patrick De
Gayardon aveva creato la tuta alare con la quale volò a
Chamonix da 7000 metri ad una velocità di 210-220 km
orari con le braccia legate da una doppia membrana e le
gambe unite da unaltra membrana.
E' morto come
uno scienziato avvelenato dai suoi stessi esperimenti ed
è per questo che non riesco a sostenere la posizione di
chi grida allassurdo sacrificio umano e chiede
scandalizzato un maggior rispetto alla vita.
Lucia Oddo
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