VALERIO VECCHIARELLI

IL TEMPO 28/10/95

New Zeland

BOLOGNA _ Un passo indietro lungo otto anni. Lo stesso copione, la stessa disfatta, allora la piccola Italia ovale uscì con le ossa rotte dall'esordio in Coppa del Mondo: Auckland, 22 maggio 1987, di fronte gli All Blacks. Identico risultato (70-6) anche se a quel tempo la meta valeva quattro punti. Fa male, pensare di essere cresciuti e ritrovarsi a fare i conti con qualcuno che è sempre più grande, più veloce, più concreto di te. Metà partita di gran livello non basta. Non basta più.

Partono bene gli azzurri, digrignano i denti, accettano il corpo a corpo con gli avanti, ingaggiano duelli da giganti e si fanno ammirare. Partono bene gli azzurri, vanno subito a segno gli All Blacks. Francescato pecca di presunzione, tenta un improbabile intercetto e perde di vista Wilson. Lui è una freccia, si infila nel buco e regala l'onore della prima meta a Michael Jones, cristiano metodista famoso perché la domenica saluta tutti, esce dalla mischia e va a pregare. Meta splendida, tanto per mettere le cose in chiaro.

Poi tanto azzurro, Troncon detta il ritmo, i suoi a forza di spallate guadagnano metri e regalano a Bonomi tre occasioni d'oro per andare avanti. Il suo piede non è ispirato (Dominguez, dove sei?), altro modo non c'è per muovere il risultato. Il Dall'Ara (28.000 spettatori, un record per il rugby) si infiamma quando Vaccari stende Lomu. La scena si ripete pochi minuti più tardi con Bordon che è alle prese con il gigante. Non succederà più. Pian piano la marea nera invade ogni angolo del campo, non c'è spazio per attaccare, non cè il tempo di respirare. Giocano sempre sul filo del fuorigioco, aggressivi, splendidi e spietati. L'Italia regge l'urto, strappa applausi, soffre in silenzio. Un tempo, poi la luce si spegne ed arriva il momento dello spettacolo.

Questi All Blacks sanno essere belli e concreti, cattivi e sublimi. Quando innescano la bomba Lomu non ce n'è più per nessuno, il bambinone di Tonga si sceglie una corsia preferenziale, mette in moto le gambe e va dritto per la sua strada. Vaccari rincorre, si appende, strattona e rimane a terra. Mazzariol fa la fine della zanzara, arriva di gran carriera e viene scacciato via da un ceffone bonario. Ruspa Jonah va in meta così. Non c'è da vergognarsi, la stessa cosa è successa ad australiani, inglesi, gallesi. E succederà ancora.

I neozelandesi capiscono che c'è anche il tempo per fare accademia, hanno in Wilson l'estremo del futuro, in Zinzan Brooke un concentrato di estro e potenza, in Michael Jones un fenomeno che ha scoperto il segreto di come si fa ad essere sempre e comunque in ogni luogo, in Rush (traduzione: sprint) la velocità istantanea. Lomu è uno, nel rugby nessuno.

Gli All Blacks, quindici uomini, un meccanismo perfetto, una cosa sola. Ed ecco che le sei mete del secondo tempo sono inevitabili, a forza di difendere l'Italia piega le gambe e gli altri vanno a nozze. Fino alla fine, fino a quando Lomu tira su l'ovale nella sua area di meta e vola a chiudere il discorso. Tutto il campo di corsa, meta <coast to coast> per punire oltre il dovuto l'Italia che sogna. Dicono che si vestono di nero perché gli avversari sono sempre in lutto. Domenica 12 novembre all'Olimpico arrivano gli Springboks campioni del mondo. La loro maglia è verde. Per l'Italia verde speranza.