_BOLOGNA L'Italia ovale si getta nella mischia, sfida la magia nera, gonfia il petto di fronte al Mito. Ovvero agli All Blacks, in una parola il Rugby.
Sarà il giorno più lungo per la truppa di Georges Coste, la prova tanto attesa per dimostrare che forse è sempre meglio essere gli ultimi tra i grandi che i primi tra i piccoli, di far capire che gli ostacoli non si superano con il pensiero. Vanno affrontati.
Bologna ha compreso l'importanza storica dell'evento, i botteghini del Dall'Ara sono stati presi d'assalto (ieri sera 20.000 biglietti venduti), non si è fatta distrarre da una qualificazione in Coppa Italia nel calcio e l'amatissimo derby cittadino di basket, spostato a domani proprio per lasciare il palcoscenico tutto per gli uomini in nero.
Ci volevano gli All Blacks per regalare al rugby le attenzioni degli altri sport, per far scendere in campo Alberto Tomba a dare il primo calcio all'ovale e poi correre in tribuna al fianco di Arrigo Sacchi a godersi lo spettacolo, ci volevano gli All Blacks per far arrivare in massa i giornalisti d'oltre Manica e spingere la Csi, società televisiva londinese, a diffondere in diretta l'incontro in tutto l'emisfero Sud. Il pomeriggio di gala del rugby (ore 15, diretta criptata su TelePiù 2 dalle 14.45) sarà quanto di meglio si è mai visto dalle nostre parti.
I precedenti (1979 Rovigo, 1987 Auckland, 1991 Leicester) parlano chiaro, tre sconfitte senza appello ci inchiodano alla realtà, ci suggeriscono che non c'è spazio per i sogni, che l'unica vittoria possibile è quella di poterli guardare da vicino, di aver ottenuto il loro rispetto. Il resto sarà solo una lunga, infinita rincorsa. Capitan Cuttitta non è dello stesso avviso, si è calato nei panni del condottiero e non accetta di alzare bandiera bianca prima di aver combattuto: <Se io vado in campo lo faccio solo per vincere, altrimenti starei comodamente seduto davanti ad un televisore. Siamo cresciuti, il livello della nazionale è arrivato ad un punto che gli All Blacks non possono mettere il terrore addosso. Si possono rispettare, non temere>.
E dall'altra parte Sean Fitzpatrick, capitano d'acciaio, già entrato nella leggenda grazie ai suoi 63 test consecutivi con la maglia nera, risponde per le rime: <Non abbiamo mai pensato all'Italia come ad un semplice sparring-partner da utilizzare per prepararci ai due test con la Francia. Sarà una partita vera, contro un avversario vero, che ha dimostrato negli ultimi due anni di poter entrare nel mondo dei grandi dalla porta principale>. Se le sue non sono state parole di circostanza c'è da temere il peggio.
Ai giovanottoni di Nuova Zelanda giovedi pomeriggio è saltata la mosca al naso, avevano chiesto di poter visitare la Ferrari a Maranello e tra le rosse si sono ritrovati al fianco degli azzurri. Non hanno gradito la cosa, non amano certo fraternizzare con l'avversario prima della battaglia e per tutta risposta ieri hanno dato buca al sindaco di Bologna che li attendeva per un ricevimento ufficiale in comune. Stessa cosa in conferenza stampa, mai vicino agli italiani: prima loro, poi gli altri. Sono fatti così, il nemico può avere il piacere di guardarli negli occhi solo durante l'Haka, la danza di guerra che inscenano prima della partita. Per loro il rugby è una religione, una filosofia di vita da cui non si può prescindere. Per questo non sono una semplice squadra. Per questo la piccola Italia per una volta non può aver paura di andare a lezione dai grandi.