IL pomeriggio di gala del rugby si è aperto con lo speaker dell'Olimpico che pregava i quarantamila presenti di <non ritmare con gli applausi l'inno italiano, per espressa richiesta dei giocatori azzurri che vogliono cantarlo tutti insieme>. Preghiera andata a vuoto. Il rugby è così, anche l'inno nazionale fa parte del gioco, ci si cala nella parte, ci si sente per un'ora e mezzo difensori di una bandiera, si cercano, in quei momenti, energie e coraggio per fare in mezzo ad un campo di gioco quello che chiunque abbia un minimo di raziocinio non farebbe mai nella vita quotidiana: mettersi di fronte ad un treno in corsa, diventare uno scudo umano a difesa del proprio territorio, andare con la testa dove qualsiasi comune mortale non metterebbe manco un piede.
A parte Mameli trasformato in marcetta, la piccola Italia del rugby per un pomeriggio si è sentita grande, in un grande stadio, di fronte ad un grande pubblico. <Speriamo che domani tutta questa gente non si sia dimenticata di noi>, ha detto Massimo Cuttitta, capitano coraggioso dell'armata azzurra. Eroi per un giorno. Per i rugbisti è già una novità.
Il mese di lavori forzati per gli azzurri del rugby si è chiuso con la convinzione che la strada intrapresa sia quella giusta: grandi scontri, grandi avversari, magari anche grandi sconfitte, comunque sia, grande rugby.
Georges Coste spinge verso questa direzione, vuole alzare il livello del nostro rugby ed è convinto che per farlo c'è solo bisogno di misurarsi con il meglio: <Non possiamo sperare di reggere il confronto con i campioni del mondo se lavoriamo insieme solo una settimana. Per raggiungere il loro livello serve impegnarsi tutti i giorni per tutto l'anno>. Il Costepensiero oramai è arcinoto. La realtà ovale italiana tutt'altra cosa.
Adesso che i progressi della nazionale sono sotto gli occhi di tutti, che a forza di predicare il folletto di Perpignan è riuscito a creare un gruppo, a dare vita a quel superclub Italia così diverso, così lontano dai ritmi sonnecchiosi del campionato, è arrivato il momento di guardare avanti.
Lui parla di inserimenti, di nuove leve, di allargamento della rosa dei titolari come momento indispensabile di crescita. Il coraggio e la sicurezza messi in mostra da Nicola Mazzucato, 20 anni, ala del Cus Padova (serie A2), gettato nella mischia nel giorno più difficile, sono la garanzia che dietro non c'è il vuoto. Sempre Coste: <Non si è chiuso nessun ciclo, questi ragazzi possono andare avanti fino alla prossima Coppa del Mondo, anche se la porta della nazionale è sempre aperta>.
Con Diego Dominguez che potrebbe cedere alle richieste dello Stade Toulosain, campione di Francia, con Massimo Cuttitta che da tempo è sulla lista dei probabili piloni del Natal, campione del Sudafrica, con Mark Giacheri che è richiesto in Australia, avere forze fresche potrebbe diventare un obbligo.
La cosa non spaventa Coste: <Gioco con chi c'è, devo fare i conti con gli elementi a mia disposizione>, aveva detto all'indomani del rifiuto di Dominguez di andare in Argentina a disputare la Coppa Latina.
Chi va e chi viene. In mezzo gli intoccabili, come Alessandro Troncon, mediano di mischia dal senso tattico fuori dal comune, scommessa vinta dal tecnico francese che su lui ha puntato dal primo giorno in cui mise piede in Italia. O come Massimo Giovanelli, gladiatore in terza linea, tornato ad essere quello che era prima che un incidente stradale gli mandasse il femore in mille pezzi. Il futuro? Può chiamarsi Mazzucato o Piovene, Roselli o De Carli, Guidi o Castellani. L'importante è essere convinti che non si sta predicando nel deserto.