VALERIO VECCHIARELLI

IL TEMPO 11/11/95

Sud Africa

PER un giorno l'Olimpico cambia pelle, saluta il calcio ed offre il suo prato alle sgroppate delle gazzelle, quelle che armeggiano con un pallone ovale e che in sudafricano (o nel gergo del rugby, è la stessa cosa) si chiamano Springboks. L'incontro con i Campioni del Mondo chiude il mese di fuoco dell'ovale azzurro, si è stati in ginocchio dietro alla lavagna a subire le punizioni inflitte a turno da Francia, Argentina, Nuova Zelanda, si è cercato di capire perché gli altri sono sempre più grandi, più veloci, più forti. Oggi, un'altra occasione per studiare. Ed imparare.

Questa volta nessuno ha fatto proclami di guerra, la legnata subita contro gli All Blacks due settimane fa ha suggerito prudenza; Massimo Cuttitta, il capitano, ha solo accennato al fatto che con quei settanta punti sulle spalle non si può far altro che migliorare. Forse voleva dire: cercare di limitare i danni.

Morne Du Plessis, il team-manager Springbok, si inchina di fronte agli azzurri, presenta l'Italia come la squadra rivelazione dell'anno, si dice soddisfatto di incontrarla in preparazione all'incontro di fuoco di sabato prossimo a Twickenham con l'Inghilterra, rifiuta categoricamente confronti a

distanza con gli All Blacks: <Ogni incontro è una storia irripetibile, è impossibile pensare di dover fare all'Italia più di settanta punti per dimostrare che siamo più forti di loro. L'importante è vincere, mi sembra che al momento giusto con gli All Backs lo abbiamo fatto. Con l'Italia proveremo a farlo domani (oggi, ndr)>. Gentiluomo, Du Plessis. E pensare che proprio ieri gli stessi All Blacks che c'erano sembrati extraterrestri hanno rimediato un'inattesa punizione (22-15) dalla Francia, capace di sconfiggerli sul terreno a loro tanto caro, quello dello scontro fisico.

Ogni partita è storia a se, ha ragione Du Plessis. Non costa niente sognare un miracolo.

Roma ospiterà il pomeriggio di gala del rugby, da una parte un team che ha saputo pianificare in modo scientifico il proprio approccio con il gioco, ha sputato sangue per bruciare le tappe e cancellare in fretta e furia il baratro tecnico creato dall'isolamento internazionale, ha forzato la mano per ottenere soldi e felicità da un gioco che fino a ieri regalava solo gloria. Dall'altra l'Italia che gioca un tempo con gran coraggio di fronte agli All Blacks prima di perdersi nel nulla, che ogni volta è ad un passo, sempre ad un passo, dal conquistare la vetta, che ha imparato a difendere (in campo) e ad attaccare (fuori) le abitudini radicate di chi l'ha sempre considerata poco più di un'armata Brancaleone, che ha ricevuto, senza chiederlo, l'invito a giocare con i Campioni del Mondo. Quell'Italia oggi, all'Olimpico, deve dimostrare che a forza di prendere botte si può anche crescere.

Terminata la Coppa del Mondo del delirio collettivo, gli Springboks hanno pensato a monetizzare il trionfo costringendo, sotto il ricatto dell'emigrazione in massa al <Tredici>, la propria federazione a mettere nero su bianco. Ovvero la firma sotto a contratti milionari. Sono tornati in campo una sola volta, a Johannesburg, per sgranchirsi le gambe contro il Galles (40-11). Interpretano questo tour europeo come l'occasione ideale per dimostrare al mondo che la Coppa non l'hanno scippata a nessuno. L'Italia è avvertita.