VALERIO VECCHIARELLI

IL TEMPO 03/11/95

Rob Louw

L'AMAREZZA ti rimane dentro, ti seguirà per sempre, nessuno ti restituirà quello che ti è stato negato. Rob Louw, oggi allenatore della Rugby Roma, ieri uno dei più grandi numeri otto del Sudafrica, ha un rimpianto: quello di essere nato nel periodo sbagliato. Solo diciannove test con gli Springboks, l'onore di essere capitano negato perché <ero troppo progressista e per di più di origine inglese>, la consapevolezza di far parte di uno dei più grandi team mai apparsi sul palcoscenico ovale la cui forza è stata strozzata dall'impossibilità di confrontarsi con il mondo. <Quella lì era una squadra da sogno, c'erano Naas Botha, Danie Gerber, i fratelli Du Plessis, Divan Serfontein, il giovane Ulie Schmidt, tutta gente che non ha avuto il tempo di dimostrare il proprio talento. Giocavamo di nascosto, per incontrarci gli avversari sfidavano l'opinione pubblica, partite galeotte che non possono appagare la voglia di sentirsi normale>.

<Adesso per fortuna le cose sono cambiate, vincere la Coppa del Mondo ci ha regalato una gioia infinita, vedere lottare per lo stesso obiettivo gli afrikaner, un ebreo, un nero, giocatori di origine inglese, ci ha dato la giusta dimensione del nuovo Sudafrica, una nazione che deve unirsi nella diversità. Ai miei tempi in squadra si parlava solo afrikaan, io dovetti andare a Stellenbosch, all'università del rugby, per imparare quella lingua. Per fortuna non succede più. Il rugby ha aperto la strada, il nuovo Sudafrica deve saperla percorrere>.