E’ che ieri l’altro si poteva vincere, si doveva vincere e invece l’hanno spuntata ancora una volta i Dragoni grazie a un paio di errori azzurri da abbecedario del rugby, capitolo "difesa", uniti ad una svista arbitrale del sudafricano Spannemberg. Uniti soprattutto alla diabolica capacità di perseverare nella maniera di preparare, alla carlona, un test match che per l’Italia valeva la solita tesi di laurea che ci sfugge da quando il professor Georges Coste è riuscito a iscriverci all’Ateneo delle Grandi. Lo scorso gennaio il tecnico della nazionale ebbe due giorni (uno dei quali di viaggio!) per allestire la squadra poi battuta d’un soffio a Cardiff; per la partita di ritorno Coste ha avuto una settimana di collegiale, quando i nostri avversari erano andati a studiare in tournèe in Australia. Il che non ha evitato loro di soffrire.
Ormai è inutile intervistare l’allenatore dei Pirenei: il disco è sempre quello in hit parade da tre anni. Lui chiede solo che la federazione scelga quale strada percorrere: Nazionale o campionato, una terza via non è data, a meno di non rivedere l’attuale formula che addormenta torneo, giocatori e pubblico. La guerra tra Fir e club (che pure hanno le loro ragioni) non serve a nessuno, ma bisogna decidere in fretta, perchè il nuovo business del rugby professionistico è impietoso. C’è fame di rugby (ancora più spettacolare con le nuove regole) da trasmettere in tv vendendo i diritti a peso d’oro ed anche l’Italia è invitata a spartire la torta. Anzi, anche se la questione del Cinque/Sei Nazioni procede alla moviola (ma sino a due anni fa non ci saremmo neppure sognato di parlarne), non mancano altri segnali positivi: al Meeting dell’International Board in questi giorni in corso a Roma, il neopresidente Giancarlo Dondi ha strappato al Sud Africa un’altra minitournée con almeno un test (ancora a Roma?) nel prossimo autunno. E il partitone dell’Italia contro gli Springboks all’Olimpico se lo ricordano ancora tutti. Poi tutte le anglosassoni e la Francia hanno finalmente messo in soffitta la formazioni di seconda scelta riservandoci i migliori talenti che affronteremo nel giro di pochi mesi. Dall’estero, inoltre, si interessano ai nostri giocatori e ieri Massimo "Robocop" Giovanelli (ex Milan ed ex capitano della nazionale) ha debuttato nel Puc di Parigi (sconfitto dal Brive 47-18, con "Giova" pure ammonito, ma questa è un’altra storia): non accadeva dagli anni Sessanta. Insomma, il salotto buono è dietro l’angolo e sarebbe troppo crudele voltare i tacchi e tornare nella jungla. Un primo passo, importante, il consiglio federale l’ha fatto: per i giocatori della nazionale sono pronti i primi contratti. Niente che vedere con quelli dei gallesi, che pure sono cenerentole rispetto a neozelandesi ed australiani, ma certo dignitosi nel contesto italiano: per gli azzurri della prima squadra 30 milioni annui (lordi) più un sistema di bonus (3 per vittoria in casa, 6 in trasferta, ad esempio) che porta il totale a quasi 60. La metà per gli azzurri della formazione "A". Col rugby, da queste parti, non si diventa ricchi, ma nemmeno accadrà più di giocatori licenziati dai datori di lavoro perchè hanno risposto alla chiamata in nazionale, com’è avvenuto appena l’anno scorso al livornese Guidi, convocato fra le riserve per la Coppa del Mondo in Sud Africa.