CORRIERE DELLO SPORT

Giovedì, 9 novembre 1995
Dall'inviato Francesco Volpe

ROMA - L'Italia ritrova la bussola. Domenica all'Olimpico Diego Dominguez rimette la maglia azzurra. Sono passati cinque mesi dalla sua ultima recita, la più bella e la più sofferta. East London, 4 giugno 1995. Gli azzurri salutano la Coppa del Mondo domando l'Argentina e Diego, nato a Cordoba da padre "indigeno" e madre milanese, assesta il colpo di grazia ai suoi fratelli. A 3' dalla fine intercetta un passaggio di Crexell e vola in meta. La leggenda vuole che abbia chiamato quella palla in spagnolo... E' il giorno più bello della sua vita. Mentre segnava, a migliaia di chilometri Soledad gli regalava Piero, il primogenito. Una sbornia di felicità.

Sembra passato un secolo. Diego ha vissuto mesi intensi, ampliato la sua attività di import-export di auto, aperto un salone a Milano. S'è preparato in solitudine per la nuova stagione, in Argentina, aiutato dall'amico e preparatore Bifarella. Corsa, squash, bicicletta. La Nazionale è passata in secondo piano. La sua rinuncia alla Coppa Latina e alla sfida con gli All Blacks ha innescato le polemiche. Da Buenos Aires l'hanno addirittura accusato di codardia. "Dopo i Mondiali, sentivo il bisogno di dedicare un po' di tempo a mio figlio" - spiega il nostro - "Poi mi sono tuffato nel lavoro. La mia carriera sportiva un giorno finirà e dovrò farmi trovare pronto. Non so ancora se tornerò in Argentina, probabilmente farò la spola. Non è una decisione facile. A Milano sto bene, quest'anno per la prima volta trascorrerò qui Natale e Capodanno".

Diego è di nuovo a disposizione del c.t. Coste. Domenica sarà in campo contro il Sudafrica. Un ritorno in fanfara, ma forse anche il passo d'addio. L'apertura del Milan si tormenta le dita, misura le parole. Quello che dice dipinge un futuro pieno di dubbi e di incertezze. C'è la voglia di continuare l'avventura azzurra, e assieme il timore che non sia più possibile. "Non mi piace fare le cose a metà, giocare una partita e poi dovermi assentare per un mese" - chiarisce Diego, 29 anni - "Il mio futuro azzurro è un grosso punto interrogativo. Vorrei arrivare fino ai Mondiali del '99. Ma se non mi posso allenare come si deve, pianto la Nazionale". Il rischio è concreto e non riguarda solo Dominguez. Un'intera generazione azzurra è ormai a un bivio: privilegiare la carriera o il lavoro? Una scelta scontata. L'oriundo passa la palla, bollente, alla Federazione: E' bellissimo trovarsi di fronte gli All Blacks o gli Springboks, ma per sostenere il confronto dobbiamo potenziarci, allenandoci più spesso e meglio. Per farlo occorre tempo. La Federazione non può esigere da noi tre-quattro mesi di piena disponibilità senza garantirci una contropartita adeguata. E non è solo una questione economica. Non chiediamo il trattamento riservato ai sudafricani, ma nemmeno quello offerto ai giocatori dei Paesi più deboli".

Dominguez per questa Nazionale è regista, faro, ciambella di salvataggio. Anche quando, come adesso, la sua condizione non è al top per i postumi di un'influenza. "Contro il Leinster ho sbagliato 7 calci su 10: non mi accadeva da 8 anni!". Ventisei presenze, 12 punti a partita, 50% più del mitico Bettarello. Psicologicamente la sua sola presenza garantisce serenità a tutta la squadra. E contro fuoriclasse come gli Springboks la testa è tutto: "Il 2° tempo con gli All Blacks è la cosa più brutta che possa capitare a un giocatore. Corri, placchi e incassi mete. Ricordo quando andavo in tour con i Pumas in Nuova Zelanda: botte da 60 punti a partita! Domenica sarò di nuovo un fatto mentale. Comunque giocare test del genere è esaltante".

A Roma ha esordito in azzurro 4 anni e mezzo fa, a Roma potrebbe vivere l'ultimo capitolo di un viaggio esaltante. Ma la voglia d'azzurro è ancora viva.