CORRIERE DELLO SPORT

Martedì 7 novembre 1995
Dall'inviato Francesco Volpe

GROTTAFERRATA - Nelson Mandela deve rinnovare il guardaroba. Il giorno della finale mondiale, il presidente sudafricano indossò la maglia degli Springboks. La 6, in onore di Francois Pienaar. Quel numero però è già fuori moda. Domenica all'Olimpico, contro l'Italia, il capitano debutterà con l'8, da vero leader della mischia. E' una delle novità annunciate dai campioni del mondo, all'arrivo nel ritiro di Grottaferrata. Gli Springboks, alla prima trasferta dopo il trionfo iridato di giugno, hanno piantato le tende sui Castelli. Albergo con terrazza, vista magnifica, campo d'allenamento a due passi. Nell'era del rugby pro', il Sudafrica è all'avanguardia. Tutto è pianificato: pasti, trasferimenti, interviste. Dalla clausura imposta agli All Blacks però il salto è enorme.

Nonostante 11 ore di volo, Pienaar e i dirigenti sono disponibili ad aprire una finestra sul loro mondo. Un Paese in evoluzione, percorso da fremiti violenti, che nel rugby ha trovato un minimo comun denominatore. Gli Springboks, un tempo emblema dell'apartheid, sono oggi la Nazionale di tutti: dei bianchi dei quartieri residenziali e dei neri delle townships, degli impiegati meticci del Capo e dei tassisti indiani di Durban. "Dopo i Mondiali, il nostro rugby è letteralmente esploso" - rivela Morne Du Plessis, il manager - "In ogni gruppo sociale. La Federazione sta cercando di sostenere il boom. A livello scolastico è partito un programma che impone ad ogni squadra, Nazionale e Province a parte, di avere in organico un certo numero di ragazzi neri e mulatti. In tutti i campionati si gioca assieme, senza discriminazioni. Tra cinque anni raccoglieremo i primi frutti". Negli attuali Springboks, a Roma come ai Mondiali, un solo meticcio: l'ala Chester Williams.

Il Sudafrica sbarca in Europa per dare un seguito al suo momento magico. In settembre ha tritato il Galles a Johannesburg (44-8), ora l'attendono Italia e Inghilterra. "One team, one countryþ" (una squadra, una nazione), il motto che ha accompagnato il trionfo iridato, appartiene alla storia. Quello attuale è "Champions away", campioni anche all'estero. "I Mondiali sono alle spalle, ora dobbiamo dimostrare di saper vincere anche fuori" spiegano il c.t. Christie e Pienaar.

Contro l'Italia, gli Springboks schiereranno 12/15 della squadra che battè gli All Blacks di Jonah Lomu. La durissima Currie Cup ha imposto un pedaggio pesante: Swart, Du Randt e Strydom sono ko. Via libera al flanker Fritz Van Heerden, ex Bologna, e ai piloni Laubscher e Van der Linde (esordiente). Poi c'è la novità Pienaar.

IL LEADER - Il capitano - biondo e afrikaner - è divenuto l'ambasciatore della voglia di riconciliazione della minoranza bianca. Il suo feeling con Mandela (che non verrà a Roma) è stato all'origine dellondata di simpatia che ha investito la Nazionale tra i neri.

Si concede ai cronisti sfoggiando anche un po' di italiano. Prima azzarda la lettura di un quotidiano, poi si... lancia al bar: "Due cappuccio, por favore!"."Ho studiato per due anni la vostra lingua, all'universit௠rivela. Facoltà di giurisprudenza. Presa la laurea, si è dedicato agli affari: ha una ditta che produce barbecues. E incassa almeno 400 milioni l'anno con il rugby. Anche per questo i compagni hanno affidato a lui il testimone durante il "caldissimo" inverno australe. Prima l'offerta del magnate Parker, che intendeva creare un circuito pro'; quindi l'apertura al professionismo da parte dell'International Board. Pienaar ha fatto la voce grossa con il vulcanico presidente federale Luyt, è arrivato ai ferri corti. "Sono finito in prima linea perchè sono il capitano. Ero pronto a perdere la fascia pur di difendere i nostri interessi. Il professionismo può fare del rugby lo sport più popolare del mondo. Sì, anche più del calcio. Ditemi chi si è mai curato di promuovere e commercializzare il prodotto-rugby¯". Poche parole, idee chiarissime. Un capitano nato. Da quando ha esordito, nel '93, ha sempre ricoperto questo ruolo: un record.

Nato 28 anni fa a Vereeniging, zona rurale a sud di Johannesburg, Pienaar sarebbe potuto diventare un perfetto razzista. "Sono cresciuto in una comunità bianca, tutti i miei compagni erano bianchi. Ho impiegato molto tempo prima di incontrare un nero o un meticcio. Ma a 18 anni allenavo una squadra di ragazzini neri a Johannesburg. La Federazione ci finanziava ed era un modo per avere in tasca qualche soldo". Bob Dwyer, ex c.t. dell'Australia, l'ha definito un distruttore. E' alto 1.92, pesa 104 kg. Un altro terribile ariete sulla strada dell'Italia. "Il crollo con gli All Blacks è un episodio. Mi aspetto di rivedere gli azzurri della Coppa del Mondo, una squadra che non si limita a distruggere. Dominguez è forse la migliore apertura d'Europa, avete un bel pack: non vi sottovaluteremo". Domani gli Springboks saranno ricevuti dal Papa. Un aiuto divino può sempre far comodo.