di PAOLO RICCI BITTI
ROMA
In viaggio verso Cardiff con una bella scorta di bicarbonato nella valigia. Georges Coste, commissario tecnico dell’Italrugby, lo regalerà ai gallesi che sbeffeggiano gli azzurri: «Che cosa c’è di più buono di un italiano per cena?» dicono da migliaia di manifesti Ieuan Evans e le altre stelle del Galles per calamitare i tifosi all’insolito test match serale all’Arms Park (domani alle 20.30, diretta su Telepiù 2).
«Non c’è da prendersela troppo dice Georges Coste Anche David Campese sbarcò in Sud Africa per la Coppa del mondo trovando poster con la sua maglia numero 11 appesa ad un filo ad asciugare e la scritta "Ti abbiamo steso" E’ uno dei nuovi modi di vendere il rugby, il rugby-spettacolo imposto dal professionismo».
Il Napoleone di Perpignan non li vedrà nemmeno quei manifesti: fino all’ultimo si consumerà piuttosto gli occhi sui video delle ultime partite del Galles per trovare punti deboli e caricare così i programmi giusti nei cervelli di Castoro Troncon e di Diego Dominguez, i mediani azzurri. Un maniaco della perfezione, degli allenamenti impietosi e delle manovre ripetute fino a quando la truppa non implora pietà: Coste se ne frega del carattere naif degli italiani, forse perchè sono latini simili (rugby a parte) a lui, nato e cresciuto a pane, funghi e palla ovale alle pendici dei Pirenei, sulle labbra il francese speziato dal catalano. Ma lui è riuscito dove Bish, Villepreux e Bollesan avevano fallito: convincere gli azzurri che il talento tecnico non basta se non si sputa l’anima quando si deve placcare e difendere, anche fosse in arrivo a tutta birra la locomotiva umana Jonah Lomu.
Il miglior timoniere nella storia ovale azzurra: appena seduto sulla panchina italiana, nel settembre ’93, a cinquant’anni, attaccò alla cintura gli scalpi della Russia (a Mosca), della Francia A (vittoria storica) e della Scozia A (idem). Tre successi su tre partite in meno di due mesi. Da non credere. In archivio l’interminabile epoca amara delle onorevoli sconfitte, delle pacche sulle spalle nei terzi tempi. In archivio anche l’era dei salamelecchi con la Federazione e con i campioni proprietà privata dei gelosi club, l’era delle dichiarazioni al caramello. «Il campionato italiano è una rovina per la nazionale e quindi per tutto il movimento: la federazione decida in che direzione vuole andare, casomai dopo aver guardato che cosa accade nel volley»; e ancora: «Certi giocatori pretendono un trattamento economico da professionisti: illusi, prima devono dimostrare di avere la mentalità dei professionisti». Per non dire delle scelte tecniche che hanno scandalizzato fedeli e sacerdoti della parrocchia ovale. Provate a parlare a Coste di sua maestà Marcello Cuttitta, il giocatore italiano più conosciuto all’estero, fra i soli tre assi del globo ad avere segnato una meta in tutti i tre Mondiali. L’allenatore dai capelli brizzolati e dai drammatici sandali di cuoio intrecciato, calzati con pedalino corto anche in inverno, spedì in panchina l’ala Cuttitta (fratello del capitano Massimo) per la partita contro l’Inghilterra a Durban, la città dove i gemelloni di Latina erano emigrati imparando poi il rugby dall’accento afrikaan. Marcello rifiutò e annunciò il ritiro dalla nazionale già durante i Mondiali. «Fu solo una scelta tecnica, nulla di personale. Mi dispiace che l’abbia presa così» spiega Coste evitando di prenderti per il bavero. Nessun ripensamento, Georges ha una parola sola: anche con Julian Gardner. L’asso dalmata-italo-australiano, miglior n.8 azzurro, rifiutò una convocazione con l’Italia A. Punito con l’esclusione dal match con gli All Blacks a Bologna, ha ritrovato la nazionale solo grazie all’infortunio di Checchinato. «Julian è un bravo giocatore, ma per via dell’età arringa Coste non potrà essere ai prossimi mondiali». Come rifiutare una maglia azzurra con Coste, capace di piangere come un bambino quando i suoi ragazzi vincono? Capace anche di scommettere su Giova Robocop Giovannelli, richiamato alle armi nonostante i sette fra chiodi e placche metalliche in un femore: un uomo vero in cui Georges si specchia.
Nel Perpignan e nella nazionale transalpina juniores, l’allora esile Coste giocava mediano di mischia, poi, poco più che ventenne, fu costretto a lasciare per una lesione ad un muscolo della coscia destra. Mai pensato di abbandonare il rugby, la religione anche dei suoi due figli: allenatore del suo stesso club, poi del Barcellona e infine dell’Italia, dove si è portato la moglie e una scorta di George Simenon e Agatha Christie. «Nulla da fare invece rimpiange per le passeggiate sui Pirenei, ma in cambio ho scoperto la vostra ospitalità: eccezionale». La Federazione puntava a nomi più altisonanti, ma le andò bene. Senza i risultati della gestione Coste (c’è anche un successo con l’Argentina e una quasi-vittoria con gli Sprigboks), il rugby italiano non potrebbe nemmeno aprire la bocca a proposito di Cinque Nazioni allargato agli azzurri e di test match con tutte le più grandi potenze di Ovalia. Ancora pochi anni fa si preferiva battagliare nel terzo mondo del rugby con Marocco e Spagna invece di sfidare gli anglosassoni. Con questo francese il credo è diventato molti nemici, molto onore, a costo di leccarsi le ferite dopo i 70 punti incassati con la Nuova Zelanda. Il Galles fa lo sbruffone con quei manifesti, ma teme davvero l’Italia, soprattutto dopo la Caporetto scozzese a Rieti. «Sarà dura dice ancora Coste a Cardiff contro quindici diavoli rossi aizzati da almeno trentamila spettatori che cantano Land of my fathers, ma è solo combattendo con queste squadre che potremo crescere. Il risultato conta, eccome, ma senza dimenticare che all’Arms Park devono mettercela tutta anche i sudafricani e i neozelandesi. Diceva Sid Going, il mediano di mischia che negli anni 70 è passato dalla maglia nera degli All Blacks a quella sempre nera, ma più lunga, talare: All’Arms Park non puoi battere i gallesi, al massimo puoi segnare qualche punto più di loro. Nessun dramma, quindi, per la partita di Cardiff, perchè c’è da disperarsi davvero solo quando si perde in Romania (maggio ’94) gettando alle ortiche quella che poteva essere la nostra prima Coppa Europa. Il mio giorno peggiore da quando arrivai in Italia, anche perchè voi giornalisti italiens siete capaci di distruggere una squadra per una sola partita andata storta. Il rugby ha bisogno di tempo per essere assimilato».