FABBRICA ITALIANA d'ARTE ®
Mario Volpi, vive e lavora a Bologna. Artista anconetano che si è guadagnato lattenzione della critica per il suo lavoro estremamente riflessivo, rigoroso, pulito, accattivante a tal punto da invogliarti a prendere parte ai sui "teatrini" in cibachrome. Qui di seguito vengono riportate alcune sue opere accompagnate dalla descrizione dello stesso artista. Buona visione e lettura a tutti.
"Orson" ... Circles ... (cibachrome, 1994) |
Il finto passante, perso in un immenso spazio museale, sorpreso alla scoperta di incomprensibili architetture (da lui stesso generate), vaga alla ricerca della eterna "nuova identità".
Le comparse in scala ho-1:78, giocano un ruolo complice anche nelle intriganti situazioni provocate dalle riattivate capacità attoriche dei protagonisti noti.
Al di là delle specchiature dei cibachrome, in uno spazio sfondato che non offre resistenza allocchio, volti insistenti radicati nella memoria collettiva e frutto sempre più richieste "clonazioni", si affacciano da schermi di antichi baracconi hollywoodiani. Una sorta di Hollywood vista attraverso la staticità del risultato fotografico, da cui nascono inedite forme di video-films esclusivamente mentali.
Le finzioni, intime scene che riempiono parzialmente quella certa essenzialità che è solo dellimmaginazione, ripropongo attraverso i ruoli dei vecchi divi, la "riteatralizzazione" di uno scenario novecentesco ormai visto dallalto, tutto da ripensare.
TOMORROW IS THE QUESTIONS ! (cibachrome) |
Una "cellula di pensiero", muta, si espande e prende corpo fino a diventare uno spazio mentale definito. In questo "luogo", finte presenze umane contemplano attori scelti, non più vivi, su schermi non veri, ancora in cerca di nuove identità.
La situazione scenica, per non fallire, deve determinare unarea di finzione intrigante dedotta da un possibile reale.
Il raggiungimento di questo equilibrio tra protagonisti, scene, luci, ...., è la vera sfida tecnica.
Quanto può essere ingrandito in intimo pensiero che vuole rimanere tale?
Per non tradire la sua natura, esige dessere realizzato in uno spazio ristretto, obbligando a protagonisti piccolissimi.
Un mondo lillipuziano quindi, impressionato sulla pellicola del profondo: non può crescere più di tanto e impone un conseguente ingrandimento controllato per mantenere a tutti i costi "loriginale"; non vuole rischiare lo stravolgimento e il conseguente annullamento alla maniera mediologica.
Dunque la dismessa dimensione poetica dellimmagine si vuole ancora una volta salvare, per salvarsi deve rimanere bambina e il rischioso ingrandimento fotografico deve riuscire a mantenere lequilibrio tra unipotesi realistica e la discendente finzione.
Il risultato esce da un ridottissimo Set foto-cinematografico in cui la scenografia viene esaltata da finte comparse e da attori scomparsi.
Questi ultimi sostengono una parte mai interpretata in vita, quella inclusa in un solo, sconosciuto fotagramma, "rubato" da un intero film e legato indissolubilmente alla comparsa di turno.
E così che personaggi rodati, dai segni incisi nella "memoria internazionale", condannati alleternità ma non più padroni della propria immagine, prolungano la loro specificità attorica fuori dal loro tempo vissuto, presentadosi ancora come nuovi testimoni di un modo dessere uomini, mostri e altro.